“Ormai andare dallo psicologo è una moda”. Questo pensiero si è diffuso degli ultimi anni in parallelo all’effettivo aumentare di richiesta da parte della popolazione rispetto la cura della salute mentale.
I luoghi comuni che come “bisogna farcela da soli” o stereotipi come “lo psicologo cura i pazzi” alimentano indirettamente la concezione che questa crescente domanda, non derivi da una maggior consapevolezza e desiderio di benessere, ma piuttosto da un’eccessiva preoccupazione o patologizzazione per aver motivi di confronto. Si sta delineando una visione che vede da una parte una maggior normalizzazione dei percorsi psicologici e dall’altra una presa di posizione ostile, additando chi intraprende la terapia come “affascinato da una nuova moda” ed i professionisti del settore come lavoratori che “approfittano di questa nuova tendenza”. Questa necessità è diventata tanto palese è richiesta da portare lo stato a fornire un Bonus, e qui entra in campo il secondo concetto.
Proprio come i capi d’alta moda sono fruibili per una cerchia ristretta di popolazione abbiente, siamo consapevoli e rammaricati dal fatto che l’accesso a servizi psicologici spesso non sia possibile per tutti, in termini economici. Rivolgersi a professionisti della salute mentale diventa anche una decisione di tipo economico. ci si adopera per una continua collaborazione con i servizi sanitari pubblici, spesso oberati di carichi di lavoro difficilmente sostenibili e quindi forzati a limitare il numero di ore a disposizione dei pazienti. In parallelo, i numerosi tagli alla sanità restringono ancora di più il cerchio di chi possa accedere gratuitamente a questi servizi. Continuiamo a fare del nostro meglio affinché la salute mentale, non sia una questione di classe sociale ma quello che è a tutti gli effetti: “un diritto di ogni individuo e interesse della collettività” (art.32).